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Patate riso e cozze:fine della primavera pugliese?

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Al principio furono la D’Addario e Tarantini. Poi lo scandalo-sanità. Quindi quello legato alla squadra di calcio. Adesso tocca a Michele Emiliano, mentre il Petruzzelli viene commissariato. Sembrerebbe che la primavera pugliese rischi di fare la fine di ciò che fu quella della Campania.

Repubblica-Bari sta dedicando in questi giorni una sezione del cartaceo e del proprio sito internet al cono d’ombra dentro il quale sembra essere precipitata la regione che, fino a qualche tempo fa, era un simbolo di rinnovamento per l’intero meridione.

Qui intanto l’intervista di “Repubblica-Bari” a Nicola Lagioia

Cosa risponde all’sos Bari di Valentini? 

In questi giorni provo rabbia e delusione. Ma sono rabbia e delusione che covano da mesi. Parto da un punto di vista molto personale: è un po’ difficile, per quelli come me, dare credito a una città che alla resa dei conti rischia di averti tradito due volte. La prima è stata costringerti ad andare via per motivi di lavoro. Ma rimaniamo alla cultura. Una certa primavera pugliese, in ambito culturale, cominciò spontaneamente (senza cioè alcun ausilio istituzionale, anzi, nel sonno profondo delle istituzioni cittadine) in tempi non sospetti, cioè nel 1999, quando uscì Lacapagira dei fratelli Piva. Un film prodotto fuori Bari, che le istituzioni accolsero inizialmente in modo gelido, come Andreotti col neorelismo: “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Poi il film esplose al festival Berlino e da Levante arrivò il retrofront: “contrordine concittadini”. Da lì in poi tutto un fiorire di scrittori e artisti e registi e musicisti, molti dei quali erano stati costretti a formarsi altrove, e che venivano celebrati forse anche troppo orgogliosamente dalla città come un frutto del proprio humus. Ogni tanto mi è venuto il sospetto che venissimo utilizzati un po’ come foglie di fico. Questo sospetto sarebbe stato felicemente smentito se nel frattempo Bari fosse diventata un laboratorio culturale di livello internazionale (visto che si voleva fare della città la capitale europea della cultura). Basta guardare invece al Petruzzelli – la massima istituzione culturale cittadina – per avere la risposta. Si rischia di buttare alle ortiche un’occasione che chissà quando si ripeterà.

Da città delle escort a città di un teatro appena rinato e sotto commissarimento, fino a una casta di palazzinari, i degennaro, che dettano legge nelle scelte urbanistiche del capoluogo Che ne dice?

Che non è evidentemente cambiato molto (in Italia innanzitutto, al sud in particolare, e ora anche a Bari) dai vecchi film di Francesco Rosi. E che quando, qualche mese fa, sul “Fatto Quotidiano”, scrissi un articolo in cui – a proposito dello scandalo delle escort – cercavo di spiegare come una certa alta borghesia barese covasse da decenni (almeno dai tempi del craxismo) nel proprio dna la propensione all’intrallazzo, a Bari molti mi diedero addosso. “Ma come si permette, questo, che è pure andato via, di parlare male della borghesia barese?” “Queste cose succedono ovunque: Lagioia parla con il risentimento dell’emigrato”. Dico quindi che la tesi “ovunque ladri nessuno ladro” non serve a migliorarsi. Per migliorarsi serve autocritica. E solo chi ama profondamente i propri luoghi d’origine può dolersene altrettanto profondamente. Pasolini, in questo, fu un maestro.

Bari è una città brutta sporca e cattiva? Lo è diventata, lo è sempre stata? 

Bari ha vantato, e vanta tuttora, dei pregi sconosciuti al meridione peggiore. Sobrietà. Laboriosità. Pragmatismo, nel senso migliore del termine. Ma condivide purtroppo con il resto d’Italia un vizio capitale: l’amore per il particulare, la convinzione che i beni comuni non valgano i propri. La cultura è un bene comune. La sanità è un bene comune. Ho un parente che in questi mesi si sta curando all’oncologico. Mi racconta scene dantesche: caos, disorganizzazione, file interminabili per ricevere una legittima terapia.

Ha fallito Emiliano? E in cosa?

Della vicenda giudiziaria non parlo. Non è mia competenza. Anche se mi sento male al pensiero che i giardinetti di p.zza Cesare Battisti, dove andavo a fumarmi una sigaretta tra una lezione e l’altra di diritto penale, si siano trasformati nel parcheggio dello scandalo.

Di Emiliano penso solo che un sindaco che vuole fare della propria città la capitale europea della cultura dimenticando di nominare un assessore alla cultura non va molto lontano. Neanche filologicamente. Me lo ricordo a un vecchio premio Bari, mentre incoronava lo scrittore vincitore: “io non ho tempo di leggere molti libri”, disse. I risultati si vedono. Ma Emiliano – sempre che la vicenda giudiziaria non si risolva a suo sfavore – può ancora riscattarsi. A ogni uomo è consentito un riscatto. Faccia di questa città una vera capitale della cultura e della modernità, e la città gliene renderà merito. Oppure si cosparga il capo di cenere e se ne vada.

Il fallimento del governo di Bari è anche fallimento della Puglia migliore, già fiaccata dagli scandali sulla malasanità in regione o fallimento del pd?

E’ il fallimento del Pd, non certo della Puglia migliore. La Puglia migliore è sempre lì. Penso a Franco Cassano, per esempio. L’ho letto sul giornale in questi giorni e capisco la sua delusione, il suo sconforto. Lui ci ha creduto veramente, nella primavera pugliese, e ha per così dire combattuto in prima linea, e ha per esempio (cosa rara, oggi, in Italia) cercato di intrecciare un dialogo intergenerazionale. Ma penso anche ai Laterza, ai presidi del Libro, alle esperienze di Bollenti Spiriti e Principi Attivi voluti inizialmente se non ricordo male da Minervini, a scrupolosi documentatori del presente come Alessandro Leogrande e a tutto ciò che in questi anni, di buono, è stato fatto. Riannodare il filo, valorizzare le cose migliori e ripartire da lì.

La Puglia politicamente peggiore invece non muore mai. Fitto non muore mai. D’Alema non muore mai. D’Alema. Un uomo che ha fallito praticamente su tutto. Sulla Bicamerale, sul conflitto d’interessi, sulle elezioni regionali. Eppure è sempre là, anche quando non c’è ne avverti la presenza, con questa smania di muovere i fili. La Volpe del Tavoliere. Io invece sto con Isaiah Berlin: “La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”.

 


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